Notizie sul Santo Patrono

 

Ma da quando San Francesco è patrono di Corigliano?
di Rocco Benvenuto O.M.


La recente storiografia ecclesiastica e religiosa, tentando di ricostruire, per quanto lo permettono le fonti, il significato della fede, del culto e della morale per i credenti, ha evidenziato come sia insufficiente la prospettiva tradizionale che, dando ampio spazio ai grandi avvenimenti della storia della Chiesa, a scapito della storia del popolo di Dio, lasciava in ombra il problema di come veniva vissuta la religione, di come erano espletati gli uffici ecclesiastici, di ciò che, quotidianamente, avveniva nelle chiese. Seguendo questa nuova impostazione di studio, la presente nota intende attirare l'attenzione su alcuni momenti del patronato di s. Francesco di Paola sulla città di Corigliano Calabro. Mentre non abbiamo notizie per l'epoca medievale sul santo patrono, per quella moderna dal p. Pier Tommaso Pugliesi O. C. (1620-1710) sappiamo che Corigliano oltre a s. Francesco, aveva come patroni anche la beata Vergine Maria del Monte Carmelo, s. Antonio da Padova - tutti e tre erano raffigurati sulla porta della "Giudeca", andata distrutta nel 1858 - e s. Sebastiano martire, protettore contro la peste, la cui immagine, insieme a quella del santo di Paola, era dipinta sulla porta di Brandi. Premesso che non dobbiamo meravigliarci di tanti patroni, giacché la loro scelta era legata a varie circostanze e solo nel 1973 si è stabilito che il Patrono del luogo sia uno solo, vorrei far notare che la notizia circa il patronato di s. Antonio è suffragata da due documenti pontifici di Innocenze X (1644-1655) che se ci permettono di stabilire quando avvenne la sua elezione a patrono, tuttavia non ci consentono di conoscere la motivazione di tale scelta. All'origine di questi documenti sta la riforma operata da Urbano VIII (1623-1644), che il 23 marzo 1630 stabilì che il santo da eleggere a patrono fosse canonizzato; che l'elezione fosse fatta dal popolo con il consenso del vescovo e del clero; e che tale approvazione fosse confermata dalla S. Congregazione dei Riti. Adeguandosi a queste norme, nel 1648, l'Università di Corigliano si elesse s. Antonio come patrono e ottenuta l'approvazione delle competenti autorità ecclesiastiche, umiliò a Roma una supplica per ottenere la conferma. In Congregazione la supplica fu presentata dal card. Ciriaco Rocci alla commissione cardinalizia, che trovò l'elezione conforme alle disposizioni urbaniane. In forza di questo parere, il 15 novembre 1648 il card. Luigi Capponi potè emanare il decreto di conferma, diretto a mons. Giacomo Carafa, arcivescovo di Rossano, col quale si indicavano anche i riti da osservare per la celebrazione liturgica (ASV, Secr. Brev. 1042, e. 59r). Una decina di giorni dopo, il 26 novembre, col breve Exponi nobis Innocenze X confermò il decreto della Congregazione dei Riti (ASV, Secr. Brev. 1042, e. 58r). Se s. Antonio da Padova nel 1648 era stato scelto come Patrono del luogo, quando i Coriglianesi si sono posti sotto la protezione degli altri tre Patroni e quando l'elezione è stata confermata dalla Congregazione dei Riti? Di primo acchito non sembra possibile rispondere a questa domanda, in quanto per nessuno dei tre possediamo il decreto di conferma. In realtà i documenti non ci sono perché i Coriglianesi si sono posti sotto la protezione del santo Paolano, della beata Vergine Maria del Monte Carmelo e di s. Sebastiano prima della riforma urbaniana. Dal momento che s. Francesco è stato canonizzato il 1 maggio 1519 e tenendo conto del summenzionato decreto di Urbano VIII del 23 marzo 1630, ne segue che l'elezione patronale di s. Francesco va collocata in questo arco cronologico. Ripromettendomi di ritornare sull'argomento, soprattutto sulle diverse espressioni della devozione all'Eremita di Paola - si pensi alle varie feste, tridui, processioni, alle espressioni artistiche, ex voto , vorrei ora soffermarmi su due movimenti tellurici connessi con il patronato di s. Francesco su Corigliano. Il primo terremoto è quello del 14 luglio 1767 che danneggiò Cosenza e distrusse Luzzi e S. Agata di Esaro. La scossa del 9° grado fu avvertita anche a Corigliano, ove non si ebbe a lamentare né vittime né danni. Grati a s. Francesco, i Coriglianesi oltre ad istituire una festa, nel 1779, sotto il duca Giacomo Saluzzo (1709-1780) e durante l'amministrazione del sindaco Giacomo Maradea, gli eressero la statua che possiamo ammirare davanti alla facciata del Santuario. Il secondo sisma, di ben maggiore intensità, è quello del 24 aprile 1836: alle 6 e 15 del mattino fu avvertita una tremenda scossa ondulatoria del 10,5 grado, con epicentro in mare fra Rossano e Crosia, seguita da un maremoto. Mentre a Rossano, quasi interamente distrutto, ci furono ben 259 morti e 89 feriti, a Corigliano non si ebbero a deplorare vittime, ma solo qualche ferito e lesioni più o meno gravi agli edifici. In tutto ciò i Coriglianesi videro l'intervento del loro santo Patrono e stabilirono di ricordare l'avvenimento con la festa di ringraziamento del 25 aprile che oggi, dopo un secolo e mezzo di vita, continuiamo a celebrare. Se questi eventi hanno portato alla scelta di s. Francesco di Paola a patrono principale di Corigliano e, conseguentemente, alla dichiarazione di festa di precetto del 25 aprile, non di meno ha avuto un ruolo determinante anche il fatto che dopo la soppressione napoleonica dei Religiosi (1809), i Minimi, rientrando il 2 aprile 1839 nel loro convento - la riapertura fu dovuta in gran parte al popolo coriglianese che a seguito del sisma del 1836, in segno di riconoscenza, rivolse numerosissime suppliche a Ferdinando II di Borbone per il ritorno dei frati , hanno potuto continuare a diffondere la figura del loro Fondatore, mentre ai Conventuali, che erano stati gli artefici dell'elezione patronale di s. Antonio, il 9 agosto 1819 subentrarono i Redendoristi, provocando così un affievolimento nel culto verso il santo di Padova. Va da sé che l'attuale busto ligneo di s. Francesco, esemplato sul precedente in argento - i Francesi lo distrussero il 1 agosto 1806 - e che nel petto porta una reliquia del costato donata nel 1824 da Vincenzo Cimino, non fa che esprimere artisticamente tale protezione.

 

L’ Acqua nova di S. Francesco e il Ponte Canale

di Luigi De Luca

 

Nel corso dei lavori di costruzione della nuova strada di accesso a Corigliano Ovest (nelle immediate adiacenze dell'ospedale) è stata data una "ripulitura" anche alla fontanina pubblica sita, appunto, nei pressi del nosocomio cittadino e nota ai Coriglianesi come il canalicchjo di S. Francesco. La "ripulitura" è servita, ove ce ne fosse stato bisogno, a confermare che nel muro del canalicchjo è un pezzo dell’acquedotto fatto costruire da S. Francesco di Paola, nel suo soggiorno a Corigliano (1475-1477),per approvvigionare d'acqua il suo convento.

Più precisamente, nella parte infero-posteriore della sezione della fontana sono stati rinvenuti i resti di fistole "a bicchiere" in terracotta, i resti - come or ora s'è detto - del primitivo acquedotto francescano (databile probabilmente intorno al 1476).

Come è risaputo, l'acqua di cui si parla veniva da una sorgente della contrada montana che da allora si disse Bosco dell'acqua. Dal Cozzo del convento della S.S. Trinità, mediante una prima diramazione, l'acqua fu agevolmente portata giù, ov'era l'avvallamento di Cirrìa che, da quel tempo, fu detto appunto Acquanova, restando limitato il nome precedente al bosco che scendeva al Corigiianeto.

Più tardi, mediante un'altra diramazione che scendeva dal convento al Vernaccio (oggi Architello) e con un acquedotto-ponte ad arcate di tipo romano - costruito a scavalcare la stretta forca esistente tra il Cozzo di S. Francesco e la collina ove sorgeva il paese col castello l'acqua fu recata "nelle tre piazze" di Corigliano. La spalla Est dell'acquedotto-ponte s'appoggiava, quindi, al Vernuccio (che è una parte della collina di S. Francesco), mentre quella Ovest cadeva tra la Porta del Fosso e il luogo dove sorgerà la Cittadella, non lontano dalla piazza del Muro rotto, sita presso il castello.

L'antica conduttura del Ponte Canale (o Arco, come preferiscono chiamarlo i Coriglianesi), fatta di fistole in pietra calcarea con attacco maschio-femmina, e che oggi resta interrata a quota -1 circa, è sostanzialmente analoga a quella del canalicchjo di S. Francesco (si tratta di tecniche di largo o prevalente uso nei secoli XV-XVII). Questa somiglianza diventa corrispondenza perfetta quando si confrontino, nei due manufatti, le orditure dei paramenti murari, che presentano la stessa alternanza di conci con setti di cotto. Tali affinità ci consentono di fissare una cronologia di massima della costruzione del Ponte Canale, sulla base di dati tipologici concreti e non solo di elementi congetturali tràditi. Per tale cronologia l'evento si situa dopo il 1477, anno in cui S. Francesco lascia Corigliano, e prima del 1606, data del più antico documento ove si fa menzione dell'acquedotto-ponte come già esistente e funzionante.

In conclusione, si può affermare con fondatezza che l'acquedotto francescano e il Ponte Canale sono, se non contemporanei, certamente coevi.

Come s'è detto, l'antica conduttura dell'Arco si può tuttora vedere, giacché si trova come "inglobata" nella grande opera, che andò soggetta a lavori di adattamento e di modifiche, a partire presumibilmente dalla fine del Settecento (l'immagine che ne fornisce l'abate di Saint-Non, con i tre ordini di archi, dovrebbe essere quella del primitivo acquedotto, anteriore a qualsiasi intervento di riadattamento). Tra gli interventi sono da segnalare quello del Villacci (1847) che, fra l'altro, rese più spazioso il pianerottolo "per potervi camminare" e, poco appresso, quello del Bartholini, che trasformò il ponte in via (e questa funzione, il manufatto, conserva tuttora) facendovi innalzare sopra "due muretti di guardia". Nel 1889 "a detto acquedotto ... è stata sostituita la tubulatura in ghisa mercé la quale si è diffusa l'acqua in 24 punti della Città; ove vi sono piazzate 24 fontanine in ferro fuso per maggiore comodità dei cittadini"

 

E Corigliano restò illesa

(Ecco perché la festa di S. Francesco non si celebrò più il 14 Luglio)

di G. Amato

 

La grande devozione dei coriglianesi verso San Francesco di Paola ha origine dalla protezione accordata alla città in occasione di numerosi terremoti.

 Pubblichiamo le pagine che G. Amato, nella sua "Crono-istoria" (1884), dedicò all'argomento.

 

 Terribile fu il terremoto del 1694, che scosse tutta la Sicilia, atterrò la bella Catania, rovinò molti paesi di Calabria. Corigliano ne fu potentemente scossa; le sue fabbriche vacillarono, ma fu immune di danni. Spaventevole fu quello del 14 Luglio 1767, la Calabria tutta, ne risentì danni, ma Corigliano fu salva. Fu allora che i Coriglianesi, con a capo il duca Giacomo Saluzzi, ed il Sindaco Giacomo Maradea, innalzarono una statua di marmo al Paolano, davanti alla Chiesa. Questa statua benissimo scolpita, invita il passegiero alla preghiera col suo atteggiamento, avendo lo sguardo rivolto al cielo, come chi piange e prega; la destra sul petto, e la sinistra aperta, col braccio intiero disteso, lungo l'arto inferiore. Sta su di una base quadrata di tufo, ed attorniata da balaustrata di ferro, fatta nel 1858 dai cittadini ad istigazione di Raffaele Smurno, capo d'arte del Vallo di Diana. Sul tufo tiene quattro lastre di marmo statuario, una rimpetto S. Giacomo, con lo stemma di Corigliano, due ai lati opposti con la parola Charìtas, e l'altra che guarda il Largo Plebiscito con la seguente iscrizione:

                                       DIVO.FRANCISCO.PAULANO.

                                                    STATUAM.

                              QUAM. AN. REP. SALU. M. D. CC. LXVII.

                                              CORIOLANENSIUM.

                                       A. TERRE. MOTU. SOSPITES.

                                     PATRONO. PRAESTANTISSIMO.

                                                     VOVERANT.

                                          JACOPO. SALUTIO. DUCE.

                                                     ANNUENTE.

                                     JACOBUS. MARADEA. SINDACUS.

                                     OB. RESTITUTAM. VALITUDINEM.

                                     PUBBLICO. PRIVATOQUE. AERE.

                                            ANNO. M.D.CC. LXXIX.

                                                           P.C.

Non solo questa statua innalzarono i Coriglianesi al Santo, ma istituirono pure una festa, che si celebra ogni anno il 14 Luglio. Terribili furono i terremoti del 1784, del 1824 ma più di tutti lo fu quello del 24 Aprile 1836. Verso le ore sei italiane, un rombo cupo e forte precede la scossa di due ore, la quale durò trenta minuti secondi, e fu scossa ondulatoria. Varie altre poi ne successero. Il mare diede un muggito spaventevole; le acque oltrepassarono le sponde e allagarono gli abituri dei pescatori, con fremito che incuteva spavento. Dopo un'ora circa ritornò nei suoi naturali limiti, trascinando seco quanto trovò, arrenando, infrangendo e capovolgendo tutte le barche pescherecce, ch'erano sul lido, e sulle onde. Indescrivibili furono i danni della nostra Provincia e specialmente quelli della nobile Rossano, che quasi fu adeguata al suolo, piangendo moltissime vittime. Pure in tanto sterminio e lutto Corigliano non pianse né vittime, né danni, ed il Municipio ed i Coriglianesi grati al loro Santo Protettore, istituirono la festa dei 25 Aprile, che si pagava, come quella dei 14 Luglio col danaro del Comune, ottenendo dalle competenti autorità decreto d'essere dichiarata festa di precetto per la solo Corigliano.

 Nel 1854, in gennaio, mentre le campagne, le piazze, le vie ed i tetti della Città erano coverti di neve, ed un freddo Borea facea intirizzire, essendo tutto stellato il Cielo con una bella luna che proiettava i suoi bianchi raggi sulla neve, verso le 6 p.m. una spaventevole scossa di terremoto orribile fè tremare Corigliano e tutta la Provincia. Cosenza ne fu gravemente danneggiata; e la città di Melfi, in Basilicata, fu quasi rasata al suolo: Corigliano ne restò illesa.

 Non posso ora fare a meno di descrivere qui l'orribile terremoto del 4 ottobre 1870, tempo in cui la nostra città è in festa e in allegria a causa della vendemmia. Mancavano 40', all'Ave Maria, ed il tempo era bello, l'aria serena, pura e placida, come sogliono essere nella stagione autunnale, le serate della Calabria. I cittadini tutti erano intenti alla raccolta delle uve, quindi nobili, borghesi e contadini, tutti in festa, ed alcuni si preparavano a salire sui monti, e godersi le gioie che offre la nostra vendemmia; molti ne scendevano, e moltissimi contadini, carichi di pesanti fardelli, trasportavano squisite frutta in città. Non pochi signori si trovavano al passaggio nella via Cappuccini, nel largo Plebiscito, e mentre da tutti si gioiva, e si pensava a terminare la giornata fra molti e svariati divertimenti, che sogliono presentarsi in detti giorni, ad un tratto si ode un cupo rombo, come l'edificio che crolli, e quasi contemporaneamente un movimento che spingea la persona da destra a sinistra. Una voce terribile, straziante esce dal petto di circa 15 mila abitanti, che dice, Terremoto. A tale nome ognuno cerca orizzontarsi, e vede che tutt'i cittadini atterriti sono in mezzo alle strade in cerca dei loro cari. Una densa nebbia s'innalza dalla città, che annunzia la scossa ch'essa ebbe. È impossibile descrivere le diverse impressioni ricevute dai diversi e molteplici spettatori: chi, per esempio, si trovava guardando il Convento dei Cappuccini, allora quartiere, vedeva i Bersaglieri saltare dalle finestre del primo piano nel sottoposto giardino, per sfuggire la caduta della fabbrica. Chi si trovava guardando il Castello, vedeva la cima delle sue torri ondulare, come leggiera canna agitata dal vento, e staccarsi ad uno ad uno i merli, e cadere giù nella sottoposta villa, e nella strada. ... La nostra Corigliano da questo terribile terremoto non ebbe a deplorare altro che poche tegole, con un vecchio trave, caduti dalla diruta fabbrica dell'Ospizio; i merli delle torri del Castello, e qualche lesione ad esse.

 

Curiosità francescane

Com’era fisicamente S. Francesco? Di corporatura sufficientemente grossa e di buona salute; sembrava grasso, ma era pelle ed ossa; rubicondo nel volto, portava capelli e barba lunga.

Come vestiva? Nella maniera più semplice: sandali di legno, saio di lana grezza e mantello.

Di cosa si alimentava? Semplicemente di erbe crude, minestra di legumi, pane e acqua.

Come dormiva? A terra o su di una tavola di legno.

Perché viene detto ‘u vieĉĉhi? Nel 1538, i Turchi sbarcano sulle nostre coste e cingono d’assedio il paese. Numerosi e bene armati, sono sul punto di avere la meglio sui difensori, quando un ‘vecchio’ improvvi-samente appare ai Coriglianesi e li esorta a resistere, avendo fede nel Santo. Avviene che i Turchi vengono, così, respinti e che Corigliano e i suoi abitanti sono salvi. Considerato il divario forze, vi è da credere che si sia trattato di un miracolo del Santo. Da quel giorno, San Francesco viene dal popolo chiamato con l’appellativo ’u vieĉĉhi, cioè, il vecchio.

Da quando è Santo? Già Beato dal 1513, è proclamato Santo dalla Chiesa l’1maggio 1519.

Da quando è Patrono della città? Dall’anno 1598.

(da S. Francesco di Paola a Corigliano di G. Iudicissa) 

 

 

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