Appunti per una storia della medicina e della situazione igienica a Corigliano nel '900 : La vita e le opere del dott. Vincenzo Fiore
Nella seconda metà dell'Ottocento, il dott. Luigi Patari così rappresentava la situazione igienica di Corigliano: "Mancano le fogne e tutto viene ammucchiato lungo le strade, dalle quali provengono esalazioni nocive che al levare del sole ed al tramonto assumono l'aspetto di leggera nebbia, nociva alla salute... L'ileo tifo si manifesta in tutto l'anno, anche per la mancanza di acqua che presenta una dotazione di 12 o 13 mila litri al giorno, contro una popolazione di 14 mila abitanti... La pustola maligna, la meningite cerebro-spinale, il tifo mietono 400 individui all'anno e la vita media è appena di 31 anni e dieci mesi". Il Patari si soffermava poi sullo stato di miseria indotto dalla malaria, che fomentava l'ignoranza e nello stesso tempo favoriva il latifondo, la pastorizia ed un assetto sociale primitivo. La malaria infieriva proprio quando maggiore era il bisogno del lavoro agreste e quando questo poteva essere più proficuo. L'analisi del dott. Patari risale al 1885 ed era contenuta in una relazione destinata agli amministratori comunali dell'epoca. Vincenzo Fiore aveva allora solo 17 anni. Era figlio di Saverio Fiore, un possidente originario di Rossano che sposando Filomena Cimino , si era trasferito a Corigliano, in una abitazione di piazza Compagna. Si sarebbe laureato in medicina a Napoli dieci anni dopo, con una tesi sul morbo di Basedow, che gli procurò lodi vivissime da parte del relatore, prof. Ferdinando Fazio e del presidente della commissione prof. Ottone Schorn. Alla laurea faceva seguito il diploma di medico sanitario, conseguito presso il Gabinetto d'Igiene del prof. Giaxa. La lotta alla malaria fu uno dei compiti cui si dedicò con grande impegno, basandola sulla distruzione degli anofeli, sia durante gli stadi acquatici, sia allo stato adulto ed infine tramite una diligente propagazione della chinizzazione. Fu infatti un assertore dell'estensione del chinino anche nei soggetti indenni, per difenderli contro l'infezione. Eseguì tale profilassi chimica con rigore, opinando giustamente che il primo dovere era quello di mantenere e di rendere sane e vigorose le popolazioni del Comune, convinto che le condizioni igienico-sanitarie del popolo costituivano un fattore fondamentale per le loro condizioni economiche, civili e politiche. Dopo la laurea, il Fiore mantenne stretti contatti con Napoli. Il direttore del periodico locale "II Coriglianeto", segnalava sul numero del 31 luglio 1897: "E' tornato da Napoli l'egregio dott. Vincenzo Fiore e gli diamo di cuore il benvenuto, esprimendogli le più vive congratulazioni per l'amore sconfinato che ha della scienza. Per essa, come l'anno scorso, ha dimorato circa tre mesi in Napoli, non curando spese e privandosi dei guadagni che qui gli frutta la sua numerosa clientela". Il 29 settembre 1899 la Compagnia di Assicurazioni "La Fenice" di Vienna gli conferiva il brevetto di nomina a medico fiduciario della Compagnia, a riprova della stima che si era guadagnata ad appena quattro anni dalla laurea. In quello stesso anno, interpretando la legge sanitaria del 22 dicembre 1888 secondo la quale l'interesse maggiore dello Stato, e quindi del Comune, era quello di tutelare la pubblica salute, contribuiva alla stesura del "Regolamento locale d'igiene" che dettava norme precise sull'assistenza medica e ostetrica, sull'assistenza zoiatrica e farmaceutica, sulla vigilanza sanitaria e sulla salubrità del suolo, delle abitazioni e sul decorso delle acque superficiali, sulla vigilanza sulle acque potabili e sulle malattie infettive, sulla sorveglianza su pesci, crostacei, molluschi e derrate alimentari, sulla vigilanza sui servizi mortuari. Il 29 aprile 1901 l'allora sindaco di Corigliano, Pasquale Garetti gli comunicava che il Consiglio Provinciale Sanitario aveva ordinato la sua nomina a medico condotto con competenza sulle seguenti contrade e vie: Ospizio, Cittadella, Costantinopoli, Corso Principe Umberto, Piazza Vittorio Emanuele, Garopoli, Corso Garibaldi, SS. Trinità, Montecitorio, Madonna della Catena, S. Francesco, Marina Schiavonea, Stazione ferroviaria, Soveria, Montalto, Pometo, Via Margherita dal Cino a Corigliano, Ferraino e Fabrizio, nonché tutte le case sparse del territorio secondo la circoscrizione delle parrocchie cui appartenevano le contrade. Con provvedimento quasi contestuale con quello di medico condotto, in data primo febbraio 1902 veniva nominato Ufficiale Sanitario del Comune di Corigliano. Sono di quello stesso anno i suoi appunti di "Clinica Chirurgica", redatti a seguito di difficili operazioni effettuate su malati del luogo, in collaborazione con i dottori Antonio Cimino, Giuseppe Calabrese e Giuseppe Fino. Per tale lavoro ricevette da Napoli una lettera di approvazione e incoraggiamenti dal prof. Caccioppoli, al quale gli appunti erano stati dedicati. Una di queste operazioni era già stata segnalata sul "Popolano" del settembre 1897. Il prof. Michele Stramezzi, in servizio presso il convitto-ginnasio Garopoli, scriveva che "il giorno otto dello spirato mese di agosto, l'egregio dott. Vincenzo Fiore, coadiuvato dagli esimi colleghi Antonio Cimino, Francesco Spezzano e Giuseppe Calabrese, eseguiva una difficilissima operazione sul mio bambino di due anni e mezzo, affetto da pleurite traumatica con essudato purulento. Impossibile riusciva l'eterizzazione, considerata l'età troppo tenerella e lo stato di quasi totale deperimento del povero paziente; e di più non si poteva nei modi ordinari, perché il liquido era in parte ove soltanto una mano maestra, assistita anche dagli illuminati consigli dei coadiuvanti, avrebbe potuto agire con esito felice. Due ore e mezzo il bravo chirurgo operò su quel povero corpicciuolo e, malgrado i sussulti e gli sbalzi del paziente, la di lui mano fu così sicura che la febbre, continua dapprima, non ebbe più a riaffacciarsi. Ed ormai questo è il 26° giorno che mi operarono il bambino e che mi venne salvato da una morte sicura e imminente." Alla fine del Ì902 il dott. Fiore, nella sua veste di Ufficiale Sanitario, inviava alla Prefettura di Cosenza un ampio rapporto sullo stato sanitario del Comune, nel quale si metteva in evidenza che:
1) L'emigrazione era continua e si verificava in tutti i mesi dell'anno.
2) L'assistenza e vigilanza sanitaria veniva espletata, oltre che da lui stesso, dai medici Francesco Spezzano, Luigi Patari, Giuseppe Fino e Antonio Cimino; dai farmacisti Ferdinando Avella, Gennaro Varcaro, Luigi Redi, Giuseppe Milano, quest'ultimo autorizzato dal Ministero, gli altri tutti laureati; dalla levatrice Annina Cerignola, laureata, che copriva la condotta con uno stipendo annuo di L. 700; dai veterinari Antonio Ferri e Francesco Quintieri, entrambi laureati; mancavano i dentisti e la condotta medica, istituita fin dal 1888, veniva esercitata a turno dai medici locali, con uno stipendio annuo di L. 500, per i soli poveri e senza capitolato.
3) Le farmacie erano quattro, ben tenute e ricche di farmaci, come rilevato da una visita sanitaria. Tre erano dirette dai proprietari e quella di Milano Giuseppe da Domenico Armentano. Esse rimontavano tutte ad epoca anteriore al 1888 e nessuna aveva subito interruzione nell'esercizio.
4) Tutti gli spacci di sostanze alimentari erano visitati continuamente dal vigile sanitario. La macellazione veniva sorvegliata dal veterinario ed il numero approssimativo degli animali macellati era di 40 vaccini, 400 suini e circa 840 ovini. Non si segnalavano inconvenienti.
5) Per quanto riguarda l'igiene del suolo, la situazione era la seguente: circa 500 erano gli ettari di terreno perennemente impaludati, ubicati in diverse zone del territorio comunale. Tutte le altre zone di terreno che costituivano la pianura del territorio si impaludavano all'epoca delle piogge, ad eccezione dei circa 100 ettari di terreno irriguo che si estendevano lungo le sponde del fiume Coriglianeto. Circa 2000 ettari, divisi in diverse zone sulle colline, costituivano i terreni boscosi. Poco distante dall'abitato scorreva il Coriglianeto, che al tempo delle piogge straripava facilmente con immensi danni per i giardini e i terreni olivetati e seminativi. Altri fiumi, distanti dal centro abitato, erano il Crati, Fiumarella, Malfrancati e Cino che arrecavano immensi danni in tempi di piogge dirette e continue. La coltivazione del lino e della canapa era andata in disuso da diversi anni ed i terreni erano stati adibiti ad altre colture.
6)Per l'igiene dell'abitato si segnalava che le case erano agglomerate, spesso alte fino a quattro piani, provviste di fognature. Ove queste non esistono si provvedeva al trasporto delle acque e del materiale di rifiuto in "gettiere" pubbliche ben condizionate e alquanto distanti dall'abitato. La fognatura pubblica sboccava nel Coriglianeto in quattro punti diversi. Per i lavaggi degli oggetti d'uso, gli abitanti si servivano del fiume Coriglianeto. Il paese era intersecato da strade larghe e vicoli pavimentati da ciottoli, con cinque piazze. Esistevano tre stalle pubbliche e numerose private. L'industria era rappresentata alquanto largamente e nei diversi stabilimenti si fabbricavano olii, liquirizia e pasta, oltre alla centrale elettrica che forniva di luce il paese ed alimentava un mulino. In detti stabilimenti lavorava un discreto numero di uomini. Il paese è illuminato da luce elettrica per cui si spendono circa 8000 lire all'anno. Le scuole maschili e femminili erano collocate in tre vasti edifici, ex conventi. Alle elementari si trovano iscritti circa 300 alunni ed altri 120 circa al Ginnasio. Nei diversi bilanci del Comune si trovano stanziati circa 30 mila lire per adattamento dei locali e materiale scolastico.
7)Per quanto riguarda l'acqua potabile essa veniva da due fonti naturali che scaturiscono da rocce site in contrada Bosco dell'Acqua e Palombella, distanti dal paese circa cinque chilometri e nella quantità di circa 400 litri al minuto primo. Le condutture in ghisa attraversavano i terreni coltivati di diverse contrade alla profondità di circa due metri. Il Comune per tali condutture, funzionanti da un anno, ha già speso 21 mila lire.
8) Al seppellimento dei cadaveri del Comune e delle frazioni si provvedeva col cimitero, esteso per due ettari e cinto di muri alti tre metri. E' provvisto di ossario e stanza per custode, della camera mortuaria e di una buona camera per le autopsie. Il terreno era di natura argillosa e l'acqua del sottofondo emergeva superficialmente per circa la metà in tempo di pioggia. Vi erano sei locali costruiti per sodalizi religiosi forniti di fosse carnarie. L'abitazione del custode era nel cimitero stesso e teneva il registro disposto dall'ari 50 del regolamento sanitario.
9)Le infezioni palustri erano frequenti. Di altre infezioni, tranne rari casi, non si avevano forme epidemiche.
10)Come riportato dal registro delle tasse sul bestiame, l'allevamento era diffuso in diverse zone del territorio. I bovini erano circa 2000, gli equini 250 e gli ovini circa 9000. Bovini ed ovini solevano essere mandati d'estate in Sila. La malattia che predominava negli animali era il carbonchio, che si sviluppava qua e là nel territorio senza arrecare gravi danni, perché gli interessati del Comune prendevano gli opportuni provvedimenti per circoscrivere il male. Si tenevano due fiere annuali nel locale della Schiavonea ad epoca stabilita, una la prima domenica di maggio e l'altra il primo novembre. Nel paese non si fanno mercati di animali. Confrontando questo rapporto del dott. Fiore, con quello ricordato all'inizio del dott. Patari, appare evidente il grande progresso compiuto in circa 18 anni nel settore sanitario, dal miglioramento delle risorse idriche a quello più generale dell'igiene pubblica. Intanto, Vincenzo Fiore, proseguendo nella sua attività professionale, continuava a frequentare con assiduità parecchie cliniche dell'ospedale de' Pellegrini di Napoli, stando sempre a contatto con i suoi vecchi maestri e giovandosi quotidianamente della loro pratica e dei loro consigli. Ne seguivano certificati di lode e d'incoraggiamento rilasciati da illustri professori, come il Meola per la ginecologia, il De Vincenzis e il Guaglianetti per l'oculistica. Nel 1914, dopo anni di auspici e tentativi, sorgeva a Corigliano, nei locali a pianterreno dell'ex convento di S. Francesco, una "piccola infermeria" amministrata dalla Congregazione di Carità. Tutti i medici cittadini risposero positivamente all'invito di curare gratuitamente i poveri ricoverati. Essi furono: Francesco Gianzi, Vincenzo Varcaro, Antonio Cimino, Nicola Tricarico, Domenico Fino, Pasquale Noce, Giuseppe Cimino, Vincenzo Fiore, Michele Persiani, Luca Policastri. Ma mentre l'ospedale cominciava a funzionare scoppiava la guerra. Molti medici vennero chiamati alle armi e il peso dell'infermeria ricadde sul dott. Fiore. E' in questo periodo che Ostilio Lucarini gli dedicò le raccolte di poesie "L'anima al vento" e "Su l'aurea soglia". Con il Fiore ebbe inizio l'attività chirurgica dell'Istituto e si eseguirono le prime operazioni. Intanto nuove leve di medici si venivano ad aggiungere al nucleo iniziale. Tra essi Giordano Bruno, Sangregorio Sangregorio, Battista Marino, Marcello Cimino, Francesco Dima, Francesco Persiani e, sia pur lentamente, si concretizzava la realizzazione dell'ospedale che poi sarebbe stato dedicato a Guido Compagna. Frattanto Vincenzo Fiore nel 1927 convolava a nozze con Maria Cortese, nipote del compianto amico prof. Nicola Giannattasio e durante il viaggio di nozze perdeva la madre, Filomena Cimino. L'anno seguente un altro duro lutto colpiva la moglie, con la morte della madre, Felicetta Giannattasio, vedova di Luigi Cortese, ex Procuratore del Re a Reggio, ove il terremoto del 1908 lo aveva travolto assieme alla sua casa. Nel 1930 casa Fiore fu allietata dalla nascita di una bambina alla quale fu imposto il nome della nonna paterna, Filomena. Fu in questo periodo che Vincenzo Fiore rinsalda la sua amicizia con il grande poeta Francesco Maradea, che divenne precettore della figlia e gli fu vicino nella serena vecchiaia, compagno di lunghe discussioni sull'arte e sulla poesia. Il Maradea moriva nel 1941, Vincenzo Fiore scompariva il 26 luglio del 1945. L'opinione pubblica, che può essere fuorviata ma mai ingannata, aveva da tempo concordamente affermato e consacrato il galantomismo di "don" Vincenzo Fiore. Galantomismo inteso come volontà nel dovere, che si esplica con la pratica della giustizia e con l'ossequio alla verità. Fu un uomo pubblico che passò lo stige della maldicenza a piedi asciutti. Ed il suo nome, pur non essendo legato a nessun clamoroso avvenimento di vita cittadina, è restato nella memoria, per il fascino morale che emana dalla silenziosa bellezza di chi amministra in giustizia, di chi spende il denaro pubblico in economia, di chi fa a meno di benserviti, di lodi e di onorificenze.
Una brillante operazione
(Il Popolano n. 20 del 1° novembre 1902)
Un omaggio ad uno dei nostri migliori medici: Il Dott. Vincenzo Fiore
In nome di Francesco Schiavo, esprimiamo la sua pubblica riconoscenza al Dott. Fiore che, assistito dal Dott. Vincenzo Varcaro e dal neo-Dottore Domenico Fino, ai quali è pure gratissimo, lo ha liberato da una malattia che lo aveva portato all’orlo del sepolcro.
Soliti d’interessarci delle operazioni del carissimo Fiore, di cui ultimamente salutammo il felice ritorno da Napoli, dove, con non poco dispendio, ha fatto lunga dimora, vantaggiosa alla sua professione, ci siamo informati del difficile caso, e ne parliamo brevemente, sebbene in modo poco scientifico.
Si trattava, dunque, di un’ernia strozzata. Per la relativa operazione, il Fiore preferì il metodo Bassini, metodo difficilissimo, che richiede gran perizia, ma che dà il meraviglioso risultato della non riproduzione del male, purché l’atto operativo – come giustamente osserva il medesimo Fiore – non sia scompagnato dall’asepsi e dall’antisepsi, che evitando la suppurazione, garantiscono la guarigione per prima intensione.
Perciò fu preparato l’ambiente come la scienza consiglia: spolverando i mobili, sui quali venne disteso un panno di bucato; spazzando il pavimento e aspergendovi copiose soluzioni di sublimato; facendo abbondanti lavande d’acqua saponata sulla parte malata , previa rasura dei peli su tutto l’addome e sugli arti, e lavande d’etere e di sublimato sulla parte da operarsi; sterilizzando scrupolosamente i ferri chirurgici e tutto l’occorrente per la medicatura; disinfettando opportunamente ed accuratamente le mani dei medici. Seguì l’operazione, che durò anche più di un’ora, per le difficoltà opposte dalle aderenze del sacco del tumore ernioso coi tessuti circostanti.
Il certo è che nel breve spazio di otto giorni l’ammalato si è visto guarire, e senz’alcun intervento di febbre; risultato soddisfacentissimo e difficilissimo ad ottenere, specie quando lo strozzamento dell’ernia, come nel caso presente, duri più da più giorni. Lo si ottiene negli ospedali dove non mancano gli elementi richiesti, informati ai più rigorosi criteri scientifici, sebbene anche in quelle case di salute la guarigione delle ernie strozzate non è così rapida e sicura.
Per noi, lontani dai grandi centri, sia conforto massimo il notare l’effetto davvero miracoloso di questa operazione chirurgica; il quale prova chiaramente la bontà del metodo Bassini, per cui il canale inguinale viene rifatto in modo da impedire la riproduzione del tumore ernioso, anche in individui soggetti come lo Schiavo, a continui sforzi; e prova ancora una volta – lo diciamo con la più viva soddisfazione – la valentia del Dott. Fiore, quella del Dott. Varcaro e la diligenza del neo-Dott. Fino, che lo assisterono. Si badi che l’operazione è di quelle che son chiamate di alta chirurgia.
Al Dott. Fiore ed ai suoi colleghi ripetiamo i ringraziamenti vivissimi dello Schiavo, e li preghiamo di perseverare in questa nobile gara d’operosità e di concordia a beneficio della nostra cittadinanza, alla quale diciamo: Dopo le tante prove date dal Dott. Fiore, anche in casi molto difficili, dei quali si occupò questo giornale, è proprio il caso di aver tutta la fiducia dei nostri valorosi medici e d’incoraggiarli a fare operazioni di alta chirurgia. Il sapere e l’abilità ci sono, come non mancano i migliori ferri, di cui il Fiore è fornito a sufficienza.
E giacché l’occasione ci si presta, diciamo al neo Dott. Fino: I vostri studi, il vostro ingegno, l’assidua assistenza vostra nelle migliori cliniche napoletane – della quale vi ha pubblicamente lodato il Dott. Fiore, che fu testimone dell’amore grande con cui sentite l’importanza della vostra futura missione – promettono assai bene di voi. Avanti, e non vi mancherà il premio meritato.
(Il Popolano n.20 del 1° novembre 1902)
Tra il 1890 e il 1895 maturò la personalità professionale di VincenzoFiore, operatore medico nella Corigliano, di cui il dott. Patari al Sindaco dell’epoca così scriveva nel 1854:mancano le fogne e tutto viene ammucchiato lungo le strade dalle quali provengono esalazioni nocive che allevare del sole ed al tramonto assumono l’aspetto di leggera nebbia, nociva alla salute. L’ileo tifo si manifesta in tutto l’anno anche per la mancanza di acqua che presenta una dotazione di12-13 mila litri al giorno, contro una popolazione di 14 mila abitanti. La pustola maligna, la meningite cerebrospinale,il tifo mietono 400 individui all’anno e la vita media è di appena31 anni e 10 mesi. Una situazione che, seppur leggermente migliorata qualche decennio dopo,doveva pur sempre fare i conti con la malaria che infestava la pianura.Fu allora che il dottor Fiore comprese l’importanza di combatterla mediante la chinizzazione di massa. Attività a cui si dedicò appena dopo il conseguimento della laurea avvenuta a Napoli,il 5 agosto 1895, discutendo la tesi sul Morbo di Basedow.A due anni dalla laurea così scriveva di lui il Direttore del locale giornale Il Coriglianeto: Il 31 luglio 1897 è tornato da Napoli il dott. V. Fiore e noi gli diamo di cuore il benvenuto esprimendogli<πle più vive congratulazioni per l’amore sconfinato che ha per la scienza.E ancora, nel settembre dello stesso anno Il Popolano, con un corsivo dal titolo Onore al merito, a fi rma del prof.Michele Stramezzi del Ginnasio Garopoli,così pubblicava la notizia: Il giornootto dello spirato mese di agostol’egregio dott. Fiore, coadiuvato dagli esimi colleghi Signori Antonio Cimino,Francesco Spezzano e Giuseppe Calabrese eseguiva una difficilissima operazione sul mio bambino di due anni e mezzo affetto da pleurite traumaticaconessudato purulento…s’abbia dunque non mai abbastanza riconoscenza ai sopra citati medici per l’opera svolta.Il 29 aprile 1901, con nota n. 1144,l’allora Sindaco Garetti comunicava che: L’onorevole Consiglio provinciale sanitario ha ordinato la nomina a medico condotto del dott. Fiore. Con successivo provvedimento datato 1°febbraio 1902 veniva poi nominato Ufficiale Sanitario. Sono del 1902 i suoi Appunti di Clinica chirurgica redatti a seguito di operazioni effettuate su pazienti di Corigliano.Il Popolano dell’8 marzo del 1902 ne volle ricordare gli interventi: veramente non deve passare inosservato che cinque individui hanno oggi la vita in virtù delle operazioni eseguite dal Fiore. A lui e agli egregi dottori suoi colleghi Antonio Cimino, Giuseppe Calabrese, Giuseppe Fino vada il nostro plauso e quello del Chiarissimo dottor Cacciappoli a cui discepolo memore e riverente il Fiore dedicò i suoi Appunti.Il dottor Fiore contribuì anche alla stesuradel Regolamento locale di igiene articolato in capitoli.Piace citare alcuni documenti che contribuiscono ad affiancare ai suoi meriti professionali anche quelli più squisitamente umani, essendo egli stesso un fedele cultore dell’Amicizia. A lui Francesco Pometti dedica la novella tratta dai Poemi dell’anima e dal titolo Sulla via del dolore. Ostilio Lucarini gli dedica le raccolte di poesie L’anima al vento e Su l’aurea soglia aggiungendo che con lui si inizia l’attività chirurgica e si eseguono le prime operazioni.Il prof. Francesco Maradea, amico fraterno,nel fargli dono del suo Saggio di versi, così compilava la dedica: A V.Fiore dimidiumanimameae, il suo Ciccio. E quando poi il Professore componeva Sinfonia poetica sul tempo così comunicava al Fiore: Caro Vincenzo, ti informo che ho composto una Sinfonia poetica sul tempo più poderosa dell’altra per il telescopio del Monte Wilson.Vorrei mandartela ma mi rincresce a fartene una copia, prima perché è troppo lunga e poi perché mi sento esaurito. Spero di sottoporla al tuo giudizio quando sarò costà. Con un affettuoso bacio, tuo per sempre Ciccio.Il dottor Fiore, col rimpianto di questi amici con i quali amava discutere di arte e di poesia, nonché dei suoi beneficiati, cessava di vivere il 26 luglio1945.
Domenico BRUNETTI
(Fonte : Punto di Angelo Foggia)